Come una lucertola ubriacata dal sole si lasciò andare sulla panchina, incurante dei passanti. Di sicuro qualcuno di loro avrebbe chiamato una guardia, ma chi se ne frega, che ne sanno quelli lì?

Passaggi di figure, fantasmi avvolti in lenzuoli di garza. Leggeri entravano e uscivano dalla mente, sfuggenti alle mani protese. E allora s’accorse d’avere artigli che scavavano sabbia, sabbia che gli rubava le dita. S’accorse di avere freddo, di avere fame, si accorse di essere quello che non sapeva: cattivo.

Si stropicciò gli occhi e si rialzò.

“Era ora” disse la signora in pelliccia, “questa è la mia panchina preferita e lei è uno screanzato.”

Mi scusi, ma devo ancora smaltire una sbronza e ho sognato di essere una persona cattiva.

“Giovanotto, come crede che me la sia guadagnata questa pelliccia? Con la bontà? Ma non mi faccia ridere! Non vada via, le insegnerò molte cose. Intanto si sposti un po’ in là e, se ha una casa, quando deciderà di ritornarci si faccia un bagno, che puzza come una scarpa di vetro mai lavata. Acqua calda e sapone portano via tante cose. Pene d’amore? Non credo. Chi le patisce è come un bambolotto di gomma, senza un occhio. Lei no, lei è soltanto un stupido. Io amo gli stupidi. Mi permetta di darle un bacio…”

Ma… Signora che fa!?

Quando la guardia lo sollevò di peso ebbe la sensazione che una carrozza tirata da topolini bianchi stesse fuggendo da sotto la panchina.

Beppe Cerutti

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