Negli scorsi giorni il progetto di revisione costituzionale del Governo Renzi ha completato il suo iter parlamentare, facendo parlare il Presidente del Consiglio di “giornata storica”. In realtà non c’è nulla di particolarmente “storico” in qualcosa di già visto esattamente dieci anni fa, quando una riforma analoga fu approvata a colpi di maggioranza per volere di un Governo delegittimato e travolto dalle inchieste giudiziarie, che aveva nel frattempo fatto approvare una legge elettorale su misura, per avvantaggiarsene alle successive elezioni.

Di diverso c’è semmai un deciso peggioramento, derivante dal fatto che quel Governo, dieci anni fa, era nato da un voto popolare, espresso attraverso una legge elettorale legittima, mentre oggi la novella assemblea costituente è un’aula semivuota, i cui esponenti non hanno alcun mandato, provenendo da coalizioni elettorali antagoniste, e si sono trovati lì solo grazie a un sistema di elezione che è stato riconosciuto e dichiarato antidemocratico.

L’aula che ha visto il Presidente del Consiglio autoincensarsi attraverso la sua riforma è una plastica anticipazione degli effetti di questa legge di revisione costituzionale: un Presidente del Consiglio che parla a un’aula abbandonata, in cui ci sono solo i suoi seguaci che eseguono solerti la sua volontà e lo applaudono, mentre l’opposizione, cioè i cittadini, resta fuori con gli altri cittadini. Perché è proprio questo il quadro che gli interventi del Governo nelle materie istituzionali disegnano: un Parlamento composto da una sola Camera politica, che sarà eletta in base a una legge che darà un enorme premio di maggioranza a un solo partito, i cui eletti saranno stati scelti in gran parte da un uomo solo, il “capo politico”, attraverso i meccanismi dei capilista bloccati e delle pluricandidature. Un Parlamento la cui agenda sarà dettata interamente dal Governo attraverso il nuovo istituto del “voto a data certa” e in cui il Governo potrà estendere le sue competenze oltre quelle dello Stato, nelle materie di competenza regionale, attraverso il nuovo istituto della “clausola di supremazia”. Un sistema del tutto privo di contrappesi, sconosciuto e inimmaginabile nella totalità delle democrazie europee.

Ma anche un sistema potenzialmente capace di rendere molto più complesso e difficile l’approvazione delle leggi, al contrario di quanto viene venduto dal Presidente del Consiglio e dai suoi sodali, nonché pensato per garantire l’ingovernabilità agli avversari e la sua stessa irriformabilità, secondo lo schema già visto con il “porcellum”. Il perché è presto detto: chiunque, nel confrontare l’attuale articolo sul procedimento legislativo con quello previsto dalla revisione, può scoprire che quello nuovo è cinquanta volte più lungo: quello nuovo scompone il procedimento in una serie di procedimenti diversi secondo i casi, che oltre a importare rallentamenti e complicazioni, potranno far insorgere conflitti di competenza tra le due Camere.

Così come dieci anni fa il porcellum fu una legge elettorale pensata quasi scientificamente per impedire agli avversari dei suoi artefici di vincere le elezioni, per via dei premi di maggioranza attribuite alle grandi Regioni del Nord a trazione leghista, oggi i membri del Senato sono sostituiti da membri dei consigli regionali, ovvero delle istituzioni coinvolte nel maggior numero di scandali, che sono in misura del tutto preponderante esponenti del Partito democratico. I consiglieri regionali che andranno nel nuovo Senato, ottenendo in questo modo anche lo scudo dell’immunità parlamentare, indipendentemente dalle istanze dei territori rappresentati potranno ostacolare un Governo espressione di una forza politica diversa da quella che li ha eletti, ma non solo: potranno anche impedire una qualsiasi nuova modifica costituzionale, eventualmente correttiva, dal momento che a questi senatori, consiglieri regionali e sindaci eletti da altri consiglieri regionali, verrà attribuita comunque la stessa competenza della Camera sulle modifiche costituzionali e sulle altre leggi essenziali come quelle elettorali, le leggi sui referendum, le leggi sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea.

Né alcuna reale semplificazione, al di là della propaganda, è immaginabile nel rapporto tra lo Stato e le Regioni, dal momento che non sono stati previsti meccanismi di conciliazione in caso di mancato accordo tra Camera e Senato su leggi che interessano le Regioni, per cui sarà sempre possibile per queste ultime proporre ricorsi contro le leggi statali; né è escluso che i territori, nelle materie fondamentali sulle quali hanno perso la competenza, possano invece aprire scontri istituzionali con il Governo attraverso i referendum. Non è un caso che il prossimo referendum sulle trivellazioni sia stato il primo nella storia della Repubblica a essere stato promosso proprio dalle Regioni. Anche questa è una diretta conseguenza della volontà del Governo di imporsi in scelte dei territori senza averli consultati, cosa che è stata resa possibile con la legge Sfascia-Italia per favorire gli interessi dei petrolieri che il Governo rappresenta, come le recenti inchieste hanno fatto emergere.

Questi sono solo alcuni dei principali motivi che dovrebbero indurre chiunque a votare contro questa legge di revisione, che in Parlamento non ho esitato a definire un obbrobrio, prima di abbandonare la maggioranza illegittima sola al suo voto finale. Mente, quindi, chi afferma che non ci sarebbe alcun motivo per opporsi alla riforma all’infuori della volontà di opporsi al Presidente del Consiglio. La scelta del Presidente del Consiglio di trasformare il futuro referendum su questa legge costituzionale, che i Costituenti avevano pensato come strumento a garanzia delle minoranze nelle aule parlamentari che fossero maggioranze nel Paese, in un plebiscito sul suo Governo e sulla sua persona è stata una scelta unicamente sua, che rappresenta soltanto l’ennesima storpiatura costituzionale di questo procedimento. Fortunatamente, però, adesso la parola passerà ai cittadini, che potranno dimostrare ancora una volta, come hanno già fatto nel recente passato, cosa pensano di chi utilizza la Costituzione come mezzo di propaganda e di battaglia politica finalizzata unicamente agli interessi propri e del proprio “quartierino”.

Danilo Toninelli (deputato M5s)

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