Il commissario Soneri e la legge del Corano (Frassinelli Editore) è l’ultimo, atteso giallo (tipicamente, o meglio, magistralmente padano) del giornalista scrittore (personaggio tanto umile quanto straordinario che meriterebbe maggiore attenzione) Valerio Varesi.

E col buon Valerio, così per vedere l’effetto che fa, volentieri abbiamo scambiato due interessantissime chiacchiere.

Forse questa volta Soneri, personaggio a suo modo sensibile, introspettivo, malinconico, ecco si trova davvero spiazzato dinanzi alla nuova, complicata indagine. Si sente per caso più straniero che mai a casa sua? 

Scopre un pezzo di Parma che si è trasformato fino a divenire irriconoscibile. Soneri è un personaggio perfettamente in sintonia con la sua città, dove si muove come un animale nel suo habitat, ma questa volta è completamente spiazzato. Non solo il quartiere San Leonardo è ridotto ad archeologia industriale con le principali fabbriche sostituite da centri commerciali, ma anche gli operai che lo abitavano non ci sono più. Al loro posto immigrati di ogni etnia che parlano un’altra lingua e seguono un’altra legge. Una Parma che non riesce più a decifrare.

Tocchi il delicato tema dell’integrazione nel tuo nuovo libro. La provincia italiana mai come oggi sembra diventata intollerante e razzista, ma forse non è tutta colpa nostra e la politica ha le sue responsabilità. Sbaglio?

Il principale errore della politica è di non affrontare i problemi per quello che sono con pragmaticità. Prevale l’approccio ideologico, oltretutto inutile, tra chi è xenofobo e vorrebbe cacciare tutti e chi è per l’apertura incondizionata delle frontiere in base a un teorico umanitarismo. Entrambi gli atteggiamenti non risolvono i problemi che rimangono intonsi e ricadono sulle spalle dei cittadini i quali reagiscono appoggiando chi fornisce ricette di facile soluzione. La destra intollerante, in questo contesto, gioca le carte più efficaci. Tanto più in un momento storico in cui si scontrano due proletariati: quello provocato dalla crisi, incluso l’ex ceto medio arrabbiato, e quello che arriva da mondi poveri. Una miscela esplosiva. 

Parma, Cremona, Crema e tutti i centri provinciali, più o meno grandi, non sono più razzisti delle cosiddette grandi città?

Non direi. Là dove è più forte l’attaccamento alla propria città, come nel caso della provincia, è più facile individuare lo straniero come l’invasore, ma è altresì vero che i processi di integrazione sono più facili. Non credo che i cremonesi o i parmigiani siano più intolleranti dei rioni romani di Tor Bellamonaca o di Vigna Chiara. Bisogna anche sfatare i cliché. Per anni, nel mondo del calcio, si sono additati gli stadi di Verona e Bergamo come covi del razzismo. Poi si è scoperto che l’Olimpico di Roma era ben peggio con l’aggravante della fede fascista e i giocatori che si mostravano ai tifosi col saluto romano. 

Favorevole o contrario alla costruzione di moschee o musalle nuove in Italia?

Non ho nulla contro la religione musulmana purché non si permetta di spostare di una virgola le nostre leggi e non intacchi nessuno dei nostri valori. L’integrazione deve essere a carico di chi vive in tempi storici diversi e consiste nell’accettare incondizionatamente le leggi del Paese ospitante. Quanto alle moschee, credo che i musulmani abbiano il diritto di professare la loro religione, ma non accetterei che introducessero elementi architettonici estranei alla nostra urbanistica. Così come non si possono costruire palazzi in stili non compatibili con il tessuto urbanistico o gli standard stabiliti, nemmeno luoghi di culto eterogenei. Per fare un esempio, vieterei una enorme moschea con minareto altissimo a Roma. Ci dev’essere rispetto in tutti i sensi anche in quello urbanistico.

Paradossalmente abbattiamo le barriere grazie al virtuale (social) ma le costruiamo nel reale. No?

Si abbattono in quanto è più facile comunicare, ma se ne erigono di più solide proprio coi social. La gente è più sola di fronte al computer, c’è meno partecipazione o quest’ultima avviene con un click. Se osserviamo le manifestazioni fino agli anni ’80 scopriamo piazze gremite. Oggi solo le rock star riescono a mettere assieme tanta gente. Inoltre i social sono spesso una maschera: ci si trincera dietro una sigla per poter dire qualsiasi nefandezza nella completa deresponsabilizzazione dell’anonimato. 

Come si trova Soneri in questa civiltà dell’odio dove tutti, potenzialmente siamo a rischio?

Non bene. Aveva sognato tutto molto diverso. E quello che gli fa più paura è proprio l’assuefazione all’odio. Va detto che la violenza accompagna da sempre la vicenda umana. Non erano meno violenti gli anni ’60 e ’70. La differenza è che allora l’aggressività era generata dalla politica e dagli ideali, adesso da differenze di cultura o religione.

Stefano Mauri

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