Vanessa Rusci è artista fotografa mai banale e soprattutto, merce assai rara oggi, è una ragazza capace, o meglio, in grado di comunicare qualcosa. Non è un caso dunque se il suo profilo Facebook (fateci un giro) è sicuramente una ginestra costruttiva interessante nel deserto desolante globale. Toscana Docg e Rock, Vanessa nel Granducato del Tortello è di casa grazie alle frequentazioni con l’amica (e conterranea) Margherita Meucci (un passato artistico nella danza moderna) la moglie dell’ex campionissimo di pugilato Silvano Usini. Parlare con Vanessa è esperienza che nutre la mente. Soprattutto per questo l’abbiamo intervistata.
Da quanto tempo fai la fotografa? Sei autodidatta o hai fatto corsi o studi ad hoc?
Faccio fotografia con dall’età di 18 anni, sono 26 anni. Inizialmente come autodidatta, poi con un corso privato con Maria Neri Barigozzi, una grande fotografa milanese che si era stabilita a Rosignano Solvay in Toscana. A lei devo veramente tanto. Ho inoltre frequentato l’Università dell’immagine di Fabrizio Ferri a Milano, una fantastica scuola nella quale ho avuto la fortuna di studiare con grandi nomi della fotografia: da Ferri in persona, a Leonello Bertolucci, Elio Grazioli, e tanti altri nomi che mi hanno aperto mente e cuore.
Fotografi essenzialmente per emozionare o per … emozionarti?
Uso la fotografia in tanti modi: per il lavoro di marketing, web e comunicazione, per i miei progetti di arte contemporanea. Ma in merito alla tua domanda, non saprei rispondere, so che la fotografia è sicuramente un veicolo e che in fase di scatto ascolto tanto le mie percezioni e le mie emozioni, poi la foto va. Spero sempre che interessi, che stimoli, che sia visibile in questo mare di immagini, ma all’inizio è qualcosa che nasce da se, non creo immagini per compiacere, tantomeno per piacere. E i miei lavori lo dimostrano ampliamente. La fotografia è un linguaggio, attraverso lei mi esprimo. Nei miei corsi parlo proprio di questo, ho sviluppato un mio particolare metodo di insegnamento, basato sugli studi che ho fatto improntato sull’ “approccio alla fotografia attraverso i 5 sensi”, sistema che mira a far emergere lo stile del fotografo. E questo secondo me emoziona, quando cioè un fotografo impara a raccontare il suo personale sguardo, quello può creare meraviglia, interesse.
Cos’è per te una fotografia?
E’ un istante congelato, un tentativo di rendere eterno un istante. Che sia per strada, in uno studio, in teatro, in famiglia, di marketing. La fotografia fermando il tempo ci regala una seconda chance di rivivere un istante, ci permette di ricordare. E la memoria, più della testimonianza reale, alla quale non credo tra l’altro, è fondamentale. E’ anche una firma una foto, una testimonianza personale, unica, nessun fotografo può fare la stessa fotografia di un altro neppure se la copia.
La fotografia che vorresti fare? E quella invece che non avresti voluto scattare?
Molto banalmente vorrei fotografare certi miti della musica mondiale, come Peter Gabriel, negli ultimi anni sto sviluppando un progetto sul cosiddetto “Ritratto Performativo”: ritratti che vengono realizzati facendo interagire il soggetto in una sceneggiatura scritta da lui stesso. Lavoro questo che è nato dalle mie frequentazioni e passioni per lo psicodramma e la psicologia e mi piacerebbe lavorare con dei personaggi di quel calibro.
In merito al secondo quesito rispondo che non ce n’è una in particolare, ce ne sono moltissime, quelle per esempio realizzate all’inizio del mio percorso, quando non avevo idea di cosa fosse la fotografia. Ma alla fine in realtà non riesco a buttare nulla, se una foto non va, sarà sempre comunque un appunto visivo, un istante di memoria.
Il tuo sogno artistico nel cassetto?
Sto realizzando tante cose con l’arte contemporanea, attualmente una mia foto è al Miami Basel, questa estate ho esposto al Museo del Louvre a Parigi grazie a un progetto newyorkese, l’anno scorso a New York e di nuovo a Miami. Ora sto sviluppando un grande progetto, da più di un anno, insieme al poeta italiano Michelangelo Bonitatbus, che vive da molti anni a Londra, sul Mito, una grande mostra fotografica accompagnata da istallazioni video e sonore, che analizza la contemporaneità attraverso appunto il Mito.
Il sogno nel cassetto comunque rimane quello di riuscire a realizzare dei servizi di moda o campagne di marketing con le mie ricerche artistiche.
Conosci Crema e la Padania?
No devo dire che non conosco bene Crema, ci sono stata poche volte, la conosco tramite amicizie e per il Festival della fotografia Etica di Lodi.
Per quanto riguarda la Padania, preferisco chiamarla Pianura Padana per non cadere in richiami politici che non condivido affatto, ho un profondo legame affettivo con essa, considero il nord Italia come la fucina della cultura e del fare, delle opportunità.
Cosa rappresenta per te Milano?
La chiamo la piccola Londra italiana, la mia esperienza di vita milanese fu fantastica, mi preparò all’Europa, al mondo. Semplicemente la adoro e ci scappo appena posso dai miei cari amici.
Stefano Mauri