L’analisi svolta ha messo in luce che, pur con le inevitabili lacune e incongruenze, il diritto comunitario ha sempre maggiormente tutelato la salute dell’uomo assicurando la sicurezza degli alimenti. A tale sviluppo ha contribuito in modo significativo la giurisprudenza, i cui insegnamenti sono stati recepiti dal diritto comunitario derivato, in particolare, con riferimento al principio di precauzione.

Essenziale presupposto delle misure a tutela della salute è l’esistenza di pericoli e rischi per essa stessa, che può essere dimostrata da fonti nazionali, comunitarie o internazionali ovvero attivando un’apposita valutazione del rischio ad opera di organi all’uopo istituiti di cui si possa assicurare l’eccellenza scientifica, nonché l’indipendenza e la trasparenza dell’operato.

Appare importante, a proposito delle misure di gestione dei rischi alimentari, distinguere l’operato degli Stati membri da quello della Comunità europea.

I requisiti attinenti alla commercializzazione degli alimenti possono di per sé considerarsi ostacoli agli scambi solo se posti dagli Stati in quanto soltanto in tale ipòtesi impediscono la circolazione dei prodotti originari di altri Paesi membri.

Le misure statali restrittive degli scambi, inoltre, sono giustificabili ai sensi dell’art. 30 del Trattato CE, mentre analoghe misure comunitarie sono da considerarsi legittime in quanto lo scopo di tutelare la salute rappresenta un interesse, superiore a quello della circolazione dei beni, da perseguirsi unitamente agli altri propri della politica o dell’adozione di volta in volta attuata.

Quest’ultima caratteristica, determinando una maggiore “complessità” delle misure comunitarie, implica anche un sindacato giurisdizionale più ristretto rispetto a quello svolto con riferimento alle misure nazionali.

La Corte, quindi, che – esaminando il rispetto del principio di proporzionalità – si spinge fino al punto di “suggerire” agli Stati membri misure diverse da quelle poste in essere si limita, poi, a constatare la non manifesta erroneità o inidoneità dei provvedimenti comunitari.

Pur con questa precisazione il principio di proporzionalità costituisce il parametro essenziale per valutare la legittimità delle azioni adottate a tutela della salute, delle quali ne determina anche la durata.

L’intervento degli Stati membri o delle Comunità è, come di consueto, regolato dal principio di sussidiarietà.

Al riguardo occorre, peraltro, avvertire che esso non può ritenersi di generale applicazione.

Il principio di sussidiarietà, infatti, opera o meno a seconda della natura, concorrente o esclusiva, delle competenze attribuite alla Comunità per la realizzazione delle politiche nelle quali è integrato lo scopo di tutelare la salute. Anche quando non si applica il principio di sussidiarietà sono considerate e tutelate le esigenze nazionali dirette a proteggerla.

L’art. 95 del Trattato CE consente, infatti, il mantenimento delle misure statali, sottoponendo, peraltro, a controlli ancor più rigorosi di quelli contemplati dal precedente art. 30.

Il sistema che ne risulta delinea, così, un delicato equilibrio tra Stati e Comunità nel settore della sicurezza alimentare che riflette, in definitiva, i complessi e talora critici rapporti tra le esigenze di protezione della salute e quelle della libera circolazione dei prodotti.

Per quanto riguarda il potere di intervento e di conseguente azione dell’EFSA qualcuno ha individuato in essa una sorta di fonte di soft law, mentre qualcun altro ha sostenuto che quella che potrebbe sembrare una debolezza dell’EFSA, vale a dire l’assenza di potere regolamentare, potrebbe rappresentare de facto un aspetto positivo dal punto di vista istituzionale.

L’Autorità potrebbe, ad esempio, utilizzare i propri poteri nel momento della comunicazione del rischio per influenzare il comportamento dell’industria del settore alimentare e dei consumatori europei senza adoperare metodi coercitivi.

Invero, nonostante l’apparente chiarezza del dettato normativo, vi sono zone d’ombra che potrebbero dar àdito a problemi interpretativi riguardanti le competenze dell’EFSA e della Commissione, ma ciò non deve far pensare necessariamente che l’indipendenza di questa giovane Agenzia sia in bilico.

Infatti, la Commissione non può prendere decisioni di qualunque natura se non sulla base di un sostrato scientifico di eccellenza, anche perché non avrebbe alcun senso privarla del potere di porre domande all’EFSA.

D’altro canto, il potere della Commissione di formulare richieste di pareri scientifici all’EFSA è notevolmente bilanciato dalla possibilità che l’Autorità medesima ha di decidere autonomamente di formulare un parere su una materia di propria competenza. E ciò rappresenta senz’altro un’importante manifestazione dell’effettiva indipendenza dell’EFSA.

Inoltre, nell’ipòtesi in cui la Commissione o il Parlamento europeo o uno Stato membro richieda all’Autorità un parere scientifico quest’ultima può decidere se accettarla nei termini proposti, modificarla per tener conto di altre questioni simili o coincidenti o, anche, rifiutarla, ai sensi dell’art. 29, commi 4 e 5, del Regolamento CE n. 178/2002.

Infine, il fatto che la Commissione non sia l’esclusivo “cliente” dell’EFSA consente di dimostrare ulteriormente che essa non può intromettersi indebitamente nell’attività dell’Autorità.

Pertanto, da un punto di vista meramente istituzionale l’attuale assetto normativo garantisce un elevato livello di indipendenza a tale Agenzia di regolazione.

In relazione all’autonomia scientifica le condizioni di indipendenza di un apparato scientifico e quelle necessarie per un corretto funzionamento dell’apparato giudiziario sono piuttosto simili: infatti, entrambe richiedono trasparenza e pubblicità, un’attenta scelta degli esperti, la presenza del principio del contraddittorio, regole codificate, pareri motivati e il fatto che le risposte a situazioni emergenziali non ne mettano in discussione i princìpi generali. Dunque, anche tali condizioni sembrano ampiamente rispettate per quanto riguarda l’EFSA.

Per quel che concerne l’aspetto finanziario, invece, per un verso, è opportuno riconoscere lo scarso margine di manovra che l’EFSA ha e, per l’altro, una certa difficoltà ad ottenere fondi utili per il suo corretto funzionamento. Né sembra che, almeno nel prossimo futuro, la situazione potrà migliorare tenuto conto delle prospettive finanziarie approvate per il settennio 2007-2013 secondo cui il budget per l’EFSA sarebbe di gran lunga inferiore alle previsioni iniziali, lasciando scoperti proprio il settore della salute e quello della tutela del consumatore.

È, dunque, vero che l’EFSA è stata creata per essere “indipendent but not out of control”?

Innanzitutto, bisogna evidenziare che la creazione dell’EFSA può realmente contribuire ad aiutare l’Unione Europea ad imporre la propria visione della sicurezza alimentare sulla scena internazionale. Inoltre, in rapporto alla collocazione dell’EFSA è d’uopo sottolineare la necessità di una sua partecipazione ad eventi scientifici di caratura mondiale e di una collaborazione su base sistematica con i suoi corrispondenti internazionali; tuttavia, non si può prescindere dal porre in essere tutte quelle misure opportune affinché gli organi internazionali, che collaborano con l’Autorità, siano consapevoli dei limiti che le sono propri.

D’altronde, rispetto ai primi anni novanta, in cui le crisi alimentari avevano posto al centro dell’attenzione, soprattutto, mediatica la sicurezza alimentare, l’EFSA si è inserita, invece, in particolare, nei suoi primi anni di attività, all’interno di un contesto che è piuttosto mutato rispetto ad allora.

In tale direzione sarebbe opportuno rivedere le priorità strategiche dell’Autorità come conseguenza dei cambiamenti epocali intervenuti nel frattempo ampliando le sue competenze nel settore della nutrizione.

Nonostante ciò pare che le prospettive evolutive dell’EFSA non lascino granché sperare; infatti, il futuro di un’Agenzia come l’EFSA, che gode di un notevole grado di indipendenza, è tutt’altro che certo.

Si potrebbe, ad esempio, prevedere un posto nel C.d’A. per ogni Paese membro: ogni Stato membro rappresenterebbe il proprio Paese stabilendo così un vero e proprio vincolo di rappresentanza.

Naturalmente un progetto di tale valenza è di difficile realizzazione, ma potrebbe essere esattamente ciò di cui l’EFSA ha bisogno per poter essere riconosciuta come il massimo punto di riferimento per l’Europa all’interno del panorama mondiale della sicurezza alimentare.

Nonostante tutto questo un interrogativo di fondo rimane essenziale ai fini del presente lavoro: sarà possibile una indipendenza completa e assoluta dell’EFSA?

Ancora una volta chi scrive ritiene indispensabile, a prescindere da ciò che avverrà nel futuro dell’Autorità EFSA, incrementare e migliorare i controlli nell’àmbito dell’intero settore della sicurezza agroalimentare rendendoli più reali e concreti anche mediante l’ausilio di sistemi cc.dd. “sentinella”, possibilmente in ogni fase di controllo della complessa filiera alimentare.

In ogni caso si auspica possa realizzarsi, nel più breve lasso di tempo, ogni possibile sorta di controllo, anche “incrociato”, all’interno di qualunque procedura riguardante o che entri in rapporto, sia in modo diretto sia indiretto, con il settore alimentare.

(18-fine)

Donatella Colangione

Laureata in Giurisprudenza ad indirizzo specialistico in Dir. Internazionale a Bari e Dottore di ricerca in Dir. Pubblico a Pavia con borsa di studio sulla sicurezza agroalimentare.

 

Info: donatella.colangione@unipv.it

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