Per quanto riguarda le sostanze destinate all’alimentazione la tutela del consumo si associa ai problemi della sicurezza alimentare e consiste in: a) misure di prevenzione e vigilanza sia in ordine alla disciplina igienica e sanitaria sia riguardo alla qualità del prodotto rispetto alla destinazione; b) sanzioni per colpire illeciti alimentari, come le alterazioni, ossia trasformazioni, anche accidentali, non consentite in quanto alteranti la qualità del prodotto, le sofisticazioni, cioè modifiche parziali delle componenti del prodotto che ne diminuiscono la qualità e il pregio, e le adulterazioni, vale a dire, gli interventi volontari che modificano arbitrariamente le componenti del prodotto provocando conseguenze dannose per la salute; c) garanzie che riguardano la provenienza, la qualità e le componenti del prodotto; d) rispetto delle condizioni poste dal legislatore in ordine al confezionamento, all’imballaggio e al trasporto del prodotto; e) regole per la conservazione, la detenzione e la trasformazione dei prodotti alimentari; f) procedimenti autorizzatori nei confronti dei produttori, dei trasformatori, dei detentori e dei commercianti di prodotti alimentari.

Il potere di gestione dei rischi e i suoi limiti: il principio di proporzionalità

L’ampia discrezionalità di cui godono, secondo il diritto pattizio, le autorità preposte alla gestione del rischio è, in vario modo, limitata.

In primo luogo è il diritto comunitario derivato che può comprimerla fino ad annullarla.

Infatti, l’art. 53 del Regolamento CE n. 178/2002 impone alla Commissione di agire quando sia manifesto che alimenti di origine comunitaria o importati da Paesi terzi possano comportare gravi rischi per la salute umana. L’inerzia dell’istituzione autorizza, in base al successivo art. 54, lo Stato membro che abbia richiesto provvedimenti urgenti ad adottare misure cautelari provvisorie.

Un limite specifico deriva anche dall’art. 55 del Regolamento indicato che prevede per la gestione del rischio l’osservanza di un “piano generale”, elaborato dalla Commissione in stretta collaborazione con l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e gli Stati membri, che può anche contemplare misure in grado di incidere sulla circolazione stessa dei prodotti alimentari.

Un’ulteriore tipo di restrizione è rappresentata dall’obbligo di motivare specificamente la diversa valutazione che l’autorità che gestisce il rischio può effettuare rispetto al parere scientifico acquisito obbligatoriamente o facoltativamente. Tale motivazione dovrà essere, secondo un insegnamento giurisprudenziale che sembra applicabile a qualsiasi tipo di misura diretta a tutelare la salute, “di livello scientifico almeno equivalente a quello del parere in questione”. In particolare l’istituzione “può fondarsi su un parere integrativo del medesimo comitato di esperti o su altri elementi aventi forza probatoria almeno equivalente a quella del parere di cui trattasi”.

La discrezionalità di cui godono le autorità comunitarie e nazionali competenti a tutelare la salute minacciata da rischi reali o potenziali è, infine, soprattutto limitata dal principio di proporzionalità che, sia ai sensi dell’art. 30 del Trattato CE sia come principio generale dell’ordinamento comunitario, presiede alle scelte di gestione del rischio effettuate ed è oggetto del penetrante controllo svolto dai giudici comunitari.

L’importanza del principio di proporzionalità, sempre più percepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, è stata avvertita fin dagli inizi dell’esperienza comunitaria.

I mezzi con cui, nell’ordinamento della CECA, occorreva assicurare l’equilibrio del mercato dovevano comportare il minimo sacrificio possibile per le imprese che vi partecipavano. Ovvia conseguenza di tale affermazione è che si dovesse, prima di agire, individuare e comparare gli strumenti capaci di cogliere l’obiettivo per poi, successivamente, preferire quello che comprimeva il meno possibile la libertà economico-gestionale degli operatori del settore. Dunque, erano almeno in nuce già presenti alcuni degli elementi che, poi, sono stati individuati nell’àmbito del principio di proporzionalità.

Il passaggio forse più rilevante dell’iter che ha condotto ad individuare più esattamente il principio in esame è rappresentato da una Pronuncia della Corte resa all’inizio degli anni Settanta, rilevante sotto più aspetti, in relazione ad un rinvio pregiudiziale effettuato da un Tribunale amministrativo tedesco.

Secondo tale giudice nazionale veniva violato il principio di proporzionalità così come configurato dal proprio ordinamento giuridico: una norma regolamentare che, a garanzia dell’effettivo svolgimento delle operazioni di importazione ed esportazione, subordinava il rilascio delle licenze, all’uopo necessarie, al deposito di una cauzione che sarebbe stata restituita solo se determinati eventi si fossero verificati per causa di forza maggiore.

In particolare il Tribunale tedesco riteneva che si potesse regolare il mercato dei cereali anche con interventi meno radicali di quelli operati in sede comunitaria.

La Corte, dopo aver rivendicato al diritto comunitario il còmpito di stabilire la legittimità degli atti delle istituzioni, osservò che la norma regolamentare, oggetto d’esame, aveva pienamente rispettato il disposto dell’art. 40, poi divenuto art. 34, del Trattato CE nella parte in cui prevedeva che l’organizzazione comune dei mercati agricoli potesse comprendere “tutte le misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi” stabiliti per la politica agricola comune.

Per pervenire a tale conclusione la Corte, considerando gli argomenti del giudice del rinvio, fu poi indotta ad esaminare la “necessità” della misura sotto due aspetti che, secondo la dottrina tedesca, caratterizzavano il principio di proporzionalità: svolse, così, la propria analisi, in primo luogo, a proposito della “necessarietà” della misura, detta anche la “regola del mezzo più mite”, che imponeva all’autorità procedente di optare, fra le varie misure idonee a perseguire il fine, a favore di quella che sacrificasse meno gli interessi che si sarebbero dovuti incidere per raggiungerlo. Esaminò, poi, anche l’aspetto c.d. della “proporzionalità in senso stretto” in base alla quale i pregiudizi che si arrecano ai privati non devono essere abnormi o irragionevoli rispetto al vantaggio che, imponendoli, si consegue.

Nella fattispecie la Corte ritenne presenti entrambi i requisiti del principio di proporzionalità che, peraltro, nella Sentenza, non si stagliava ancora come principio generale del diritto comunitario. Non esistevano, infatti, secondo la Corte, strumenti diversi da quello adottato per assicurare con pari efficacia prezzi ragionevoli al consumo e un equo tenore di vita ai produttori. Né il Regolamento, considerando l’importanza dei suoi obiettivi, aveva imposto, con la cauzione, oneri abnormi agli operatori dei settore.

Alcuni anni più tardi la Corte, affermata l’esistenza del principio di proporzionalità, cui venne attribuito il rango di “norma superiore” ai fini dei giudizi sulla responsabilità extracontrattuale della Comunità, ritenne che esso individuasse, come ormai conferma sia l’ultimo comma dell’art. 5 del Trattato CE sia l’art. 1 del Protocollo relativo ai princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità ad esso allegato, il nesso tra mezzo e fine costituito dalla necessità del primo per conseguire il secondo.

Il contenuto del principio, di cui sono espressione varie norme pattizie, fu precisato con opera sostanzialmente creatrice anche se ispirata all’ordinamento tedesco della Corte di Giustizia.

Ai due elementi già sopra citati si è affiancato anche quello, che poteva ritenersi almeno implicitamente indicato, dell’idoneità della misura posta in essere.

In conclusione il principio di proporzionalità, nel considerare il rapporto tra mezzo e fine, implica, dunque, l’adozione di una misura in grado di cogliere l’obiettivo che fra tutte quelle parimenti idonee meno sacrifichi quegli interessi il cui rispetto impedirebbe di perseguirlo, fermo restando che i “disagi” non debbano essere abnormi rispetto ai benefici ipotizzati.

Tutti gli elementi di cui si compone il principio di proporzionalità hanno la stessa valenza; perciò, si configura la sua violazione quando viene meno anche uno solo di essi.

Prima di esaminare l’applicazione del principio de quo alle misure nazionali e comunitarie che, tutelando la salute, regolano la circolazione degli alimenti sono ancora opportune alcune avvertenze di carattere generale.

Secondo una tesi che, peraltro, analizza anche settori che esulano dal diritto comunitario occorre distinguere la necessità di una misura che esprime la sua idoneità e pertinenza per conseguire l’obiettivo cui è diretta dalla proporzionalità della stessa. Tale tesi comporterebbe, infatti, che la misura concretamente adottata non debba andare al di là di quanto occorrente per raggiungere il proprio scopo né causare pesi che, rispetto ai benefici ipotizzati, siano eccessivi.

Tuttavia tale tesi non sembra potersi condividere.

Nel diritto comunitario il criterio della necessità, infatti, è impiegato come sinonimo del principio di proporzionalità. La Corte, ad esempio, ha desunto da quest’ultimo principio che i divieti di vendere prodotti contenenti additivi “devono essere limitati a quanto è realmente necessario per garantire la salvaguardia della sanità pubblica”. È stato anche puntualizzato che “il principio di proporzionalità… esige che il potere degli Stati membri di vietare l’importazione di merci… da altri Stati membri sia limitato a ciò che è necessario per conseguire gli scopi di tutela sanitaria legittimamente perseguiti”. Allo stesso modo è stata ritenuta sproporzionata una misura che impediva l’importazione del latte pastorizzato nel Regno Unito poiché non limitava la restrizione degli scambi “a quanto strettamente necessario per la tutela della vita e della salute delle persone”.

È pur vero, però, che l’identificazione del concetto di necessità con quello di proporzionalità è più incerto se si considera l’operato della Commissione relativo alle misure nazionali delle quali, ai sensi dell’art. 95 del Trattato CE, lo Stato membro chiede il mantenimento dopo l’adozione delle misure di armonizzazione. Talora, infatti, la Commissione verifica l’ammissibilità delle misure nazionali adducendo che, ai sensi del quarto punto della norma sopra citata, esse debbano essere “necessarie e proporzionate” all’obiettivo conseguito. La “necessità” della misura nazionale, tuttavia, non sembrerebbe evidenziare un elemento del principio di proporzionalità così come antecedentemente delineato ma, piuttosto, sembrerebbe alludere alla particolare severità che presiede alla sua verifica nella fattispecie considerata.

In altri termini occorre, ai sensi dell’art. 95, dimostrare la proporzionalità della misura non solo esaminando il suo rapporto con il fine che persegue, ma considerando anche che lo stesso scopo è già stato conseguito in àmbito comunitario. Pertanto, un provvedimento, anche se in astratto proporzionale, non è accettabile se il suo mantenimento non è anche “necessario” alla luce della tutela comunitaria già approntata che, non a caso, è attentamente valutata dalla Commissione.

La tesi analizzata, d’altronde, scindendo il giudizio sull’idoneità del mezzo dal principio di proporzionalità, non sembra cogliere “la tendenziale sequenzialità del processo di verifica della proporzionalità dell’azione, dal momento che non può compiersi una valutazione circa l’equa distribuzione dei sacrifici… se non dopo aver individuato le possibili opzioni con giudizi di idoneità dell’azione”.

È opportuno, altresì, sottolineare che l’idoneità della misura posta in essere, da valutarsi al momento dell’adozione dell’atto, non comporta il raggiungimento effettivo dello scopo ma postula solo che essa, giudicando a priori, sia in astratto capace di conseguirlo proteggendo la salute dai rischi reali o supposti che la minacciano.

L’accertamento di questo elemento è logicamente preliminare a quello degli altri due requisiti. Non avrebbe alcun senso, infatti, stabilire se esistono eventuali alternative all’azione che si intende intraprendere nei casi in cui, comunque, essa dev’essere accantonata non essendo in grado di conseguire il suo scopo.

Inoltre, il sindacato del giudice, che per le altre componenti del principio di proporzionalità implica solo l’analisi di quanto operato dall’Autorità che gestisce il rischio, comporta, verificando il rispetto della “regola del mezzo più mite”, la prospettazione di soluzioni diverse da quelle da quest’ultima prescelte. Si opera, pertanto, inevitabilmente una contrapposizione fra ciò che è stato fatto e ciò che, con i medesimi risultati e con minori sacrifici, si sarebbe potuto fare e, dunque, anche dovuto preferire.

Per stabilire se la misura determina oneri eccessivi per alcune categorie rispetto ai vantaggi attesi, esaminando il requisito di proporzionalità in senso stretto, non bisogna evidentemente considerare i danni conseguenti alle scelte volontarie dell’interessato. Perciò, un’impresa che spontaneamente riduce la propria produzione in un determinato periodo non può, poi, lamentare la violazione, sotto il profilo indicato, del principio di proporzionalità per il fatto che in sede comunitaria si sia fatto riferimento a tale periodo per determinare la sua capacità produttiva.

Il bilanciamento fra i vantaggi e gli oneri derivanti da una misura implica, infine, una valutazione “qualitativa” degli interessi coinvolti nel senso che più è importante l’obiettivo da raggiungere più saranno giustificati anche cospicui sacrifici per ottenerlo.

Ad esempio, un Regolamento che per contribuire a porre fine allo stato di guerra in Bosnia-Erzegovina e alle massicce violazioni dei diritti fondamentali dell’individuo che si verificavano in tale territorio consentiva il sequestro di un aeromobile doveva considerarsi legittimo, in quanto l’importanza dello scopo era tale da giustificare anche conseguenze negative di un certo peso per alcuni operatori.

La tutela della salute è, al pari del conseguimento della pace, un obiettivo la cui rilevanza è tale da giustificare conseguenze negative, anche notevoli, a carico di alcuni soggetti.

(17-continua)

Donatella Colangione

Laureata in Giurisprudenza ad indirizzo specialistico in Dir. Internazionale a Bari e Dottore di ricerca in Dir. Pubblico a Pavia con borsa di studio sulla sicurezza agroalimentare.

 

Info: donatella.colangione@unipv.it

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