Nulla è cambiato dopo la ripartizione di € 3.294.253, deliberata dalla giunta regionale il 29 dicembre scorso. I fondi passano dallo Stato alle Regioni e da queste alle  Agenzie Tutela della Salute, ma le spese di collocamento delle vittime in strutture protette vengono addebitate ai Comuni di residenza. Premesso che il contrasto alla violenza di genere è considerato dai Comuni una priorità  da perseguire attraverso l’informazione preventiva, la vigilanza e, ove necessario, la denuncia all’autorità giudiziaria; premesso altresì che il tema è regolamentato  da norme comunitarie (convenzione di Istanbul del 2011), da leggi nazionali (n.77/2013 e n.113/2013) e da norme regionali concernenti le modalità d’impiego dei fondi disponibili, la cui quantità parrebbe considerevole. Ciò premesso, non si capisce per quale ragione il costo delle rette di collocamento in “case rifugio” delle vittime  di violenza e dei loro figli minori debbano ricadere sui Comuni di residenza, con effetti devastanti sui rispettivi  bilanci, già gravati da insopportabili norme contabili, mirate al contenimento della spesa pubblica.

Per dirla tutta, non si capisce neanche chiaramente se le ingenti somme stanziate per il contrasto alla violenza di genere arrivano effettivamente a destinazione o si perdono per strada, dato che i passaggi intermedi non sono pochi.  Al riguardo, dalle deliberazioni della Regione Lombardia si evince quanto segue.

Con deliberazione n. 2960 del 19 dicembre 2014, la Giunta regionale ha stanziato € 2.722.817 per “assistere e sostenere le donne vittime di violenza ed i loro figli”. Detto stanziamento è conseguente alla ripartizione di fondi statali assegnati  “alla programmazione regionale ed all’attivazione di nuovi centri antiviolenza”.  In realtà i fondi assegnati alla nostra  regione ammontavano ad € 2.772.817, ben 50.000 euro in più di quelli attivati  (forse per un banale errore di trascrizione) dalla regione stessa. Nelle intenzioni del Governo (dcpm del 27 luglio 2014) queste risorse avrebbero dovuto dare  copertura agli interventi relativi agli anni 2013 e 2014.

Nell’ambito della stessa deliberazione (2960/dic.2014), la Giunta regionale ha destinato alla “informazione, alla formazione ed all’analisi del fenomeno1.150.000 euro di fondi propri,  aggiuntivi ai trasferimenti statali. Ma il “piatto forte” arriverà un anno dopo.

Il 10 novembre 2015 il Consiglio Regionale approva il Piano quadriennale 2015/2018per le politiche di parità e di prevenzione e contrasto alla violenza delle donne …”. Un mese dopo, la giunta regionale, con deliberazione n. 4531,  demanda  alle ASL territoriali la “gestione operativa, amministrativa e contabile”  di  12.000.000 di euro (disponibili -si attesta in delibera- nell’esercizio di bilancio 2015),  finalizzati, in parte, al “contrasto violenza contro le donne, in applicazione della Legge nazionale 119/2013 e dell’ intesa Stato Regioni del 27 novembre 2014”. Dall’allegato E alla suddetta delibera risulta che alla ASL di Cremona erano  stati assegnati € 30.311 , quale “ripartizione basata sul numero di donne prese in carico dai centri antiviolenza”, ed € 186.666, quale “ripartizione basata sul fabbisogno di case rifugio per donne vittime di violenza”.

Il suddetto stanziamento di 12 milioni  viene però utilizzato solo in parte: 4.294.253 euro restano nelle disponibilità delle ATS (ex ASL), in attesa di nuova destinazione.

Con deliberazione n. 6079 del 29 dicembre 2016, la giunta regionale stabilisce le nuove destinazioni dei suddetti residui: 1.000.000 di euro agli “interventi di sostegno abitativo ai coniugi separati o divorziati” e 3.294.253 euro per “l’incremento del numero delle sedi di centri antiviolenza ed il numero delle case di rifugio, nonché per il miglioramento delle condizioni strutturali di quelli già esistenti”, precisando che detta somma è già disponibile sui bilanci delle ATS a seguito del trasferimento effettuato con la delibera dell’anno precedente (n.4531/dic.2015).

Da considerare che, a luglio del 2016, il Consiglio della Regione Lombardia  ha approvato all’unanimità un emendamento PD, attinente all’assestamento di bilancio, finalizzato ad incrementare di 500.000 euro i fondi a sostegno dei centri anti violenza; ha anche approvato (sempre all’unanimità) un ordine del giorno PD concernente lo svincolo dei fondi stanziati dal governo per gli anni 2013/2014, probabilmente quei  2.722.817 euro stanziati a fine 2014, ma non effettivamente erogati . Ad oggi, non è chiaro se lo “svincolo” dei fondi pregressi (relativi agli anni 2013/2014), deliberato dal Consiglio regionale, sia effettivamente avvenuto o meno.

Comunque, per quanto si rileva dagli atti ufficiali di Regione Lombardia, seppure con incomprensibili ritardi e vistose incongruenze, per contrastare la violenza di genere sarebbero state stanziate  notevoli risorse.

Ma sono arrivate veramente a destinazione? Se sì, perché i Comuni sono chiamati a pagare le rette delle “case rifugio”?

Dall’allegato E alla delibera di giunta 6079 del 29 dicembre 2016 la ATS Val Padana risulterebbe ora assegnataria di una ripartizione di € 381.938 (quota  parte del residuo più sopra richiamato) specificatamente dedicata al contrasto della violenza sulle donne (centri antiviolenza e case rifugio).  Sul punto, sarebbe interessante capire come sono state impiegate le risorse (€ 30.311+ 186.666)  della  precedente ripartizione, effettuata da Regione Lombardia nel 2015.

Dalla delibera di giunta del 2014 (quindi il dato potrebbe risultare non aggiornato), si rileva che sono stati sottoscritti nella nostra regione 21 accordi con altrettanti comuni capofila, accordi che avrebbero permesso di sostenere le attività di 24 centri antiviolenza e 21 case rifugio. Per quanto riguarda il nostro territorio, ovvero la Rete territoriale antiviolenza di cui facciamo parte, come ente capofila  è stato designato (da chi?) il Comune di Cremona.

Il quale ente capofila, dopo aver dato copertura economica per un mese al “caso emblematico di Agnadello” (madre e numerosi figli minori in casa rifugio),  in data 6 febbraio ha comunicato che ”non ci è possibile prevedere una ulteriore proroga della copertura dei costi di inserimento del nucleo familiare a vostro carico”. Tradotto: abbiamo coperto le spese per un mese, ora tocca a voi  (Comune di Agnadello) provvedere per i restanti  undici mesi dell’anno.

In parallelo, il Comune ha ricevuto l’ invito di Comunità Sociale Cremasca ad “ assumere l’impegno di spesa  per  garantire il prosieguo dell’intervento di tutela per tutto il 2017”. L’argomento, su richiesta del Comune interessato, è stato posto all’ordine del giorno della prossima assemblea dei comuni soci, fissata per il 20 febbraio p.v. Nella circostanza tutti i sindaci del cremasco potranno dire la loro.

Allo stato dei fatti, si può quindi concludere che lo stanziamento della giunta regionale, di fine dicembre 2016, non ha prodotto alcun “aggiustamento” in ordine all’impiego delle risorse disponibili.

Tutto come prima: lo stato trasferisce fondi alle regioni; le regioni trasferiscono fondi alle ATS, aggiungendone di proprie; le ATS trasferiscono fondi ai comuni capofila ed ai “progetti” da questi coordinati (es: progetto A.R.C.A). Tutto questo (se ho ben interpretato) è in linea con la normativa più sopra richiamata. Quello che non riesco a capire è perché il mio Comune, che non compare nella suddetta normativa, è invece chiamato ad assumere un impegno di spesa ingente che, da solo, non può garantire. Da qui la preoccupazione e la protesta che molti colleghi sindaci hanno condiviso  (compreso il presidente di Anci Lombardia, che ringrazio). Ma la sostanza del  problema non è cambiata: alle ATS  la gestione dei trasferimenti delle Regioni; ai Comuni di residenza delle vittime  le rette da pagare.

Sono certamente condivisibili tutte le misure messe in campo per sensibilizzare la popolazione e far emergere il problema: è però inaccettabile che i costi derivati da queste lodevoli iniziative vengano scaricate sui Comuni, piccoli o grandi che siano.

 Giovanni Calderara

 

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